Uno degli ultimi casi che abbiamo seguito rappresenta una situazione abbastanza anomala: un intervento chirurgico programmato, realizzato da un’equipe di fiducia.
A un uomo di 66 anni venne diagnosticato un problema al pancreas.
L’uomo e la famiglia erano tranquilli, perché il padre aveva avuto il medesimo intervento e l’equipe medica si era dimostrata affidabile.
I dottori prima dell’intervento esposero tutti gli scenari possibili post operazione, evidenziando le criticità che quella specifica pratica chirurgica poteva avere: in particolare la presenza di perdite di liquido pancreatico.
L’uomo e la famiglia erano comunque sereni e l’operazione sembrava aver avuto successo.
Dopo alcuni giorni iniziò il malessere.
L’uomo accusava forti dolori e la sua temperatura iniziò ad alzarsi.
I medici, piuttosto che indagare le cause dei dolori e della febbre, etichettarono l’uomo come ansioso e attribuirono la febbre a un batterio ospedaliero.
Nonostante l’insistenza dei familiari, non andarono a fondo. Non presero neanche in considerazione le criticità che loro per primi avevano evidenziato.
La situazione peggiorò.
A quindici giorni dall’intervento l’uomo continuava ad agoneggiare e il medico di reparto si accorse di un versamento, segnalando le sue preoccupazioni ai familiari.
Il medico responsabile del reparto sminuì le considerazioni del collega, e a colloquio con la famiglia pianificò le dimissioni.
Il 20° giorno dopo l’intervento l’uomo doveva essere dimesso, ma venne trovato svenuto in bagno con un’emorragia.
Gli accertamenti successivi misero in evidenza la negligenza: l’uomo aveva una perdita di liquido pancreatico e il personale sanitario, pur conoscendo la possibilità che ciò potesse accadere, aveva ignorato i sintomi.
Dopo cinque giorni di coma il paziente morì.
Dopo il funerale una parente si avvicinò a alla nuora e le suggerì di non fermarsi: doveva fare chiarezza su cosa era realmente accaduto per l’assurdità di come le cose erano andate.
Trovò subito il numero di C.O.R.O.C.A alla prima ricerca online e decise di contattarci.
L’abbiamo accolta e ascoltata, provando indignazione e lo stesso risentimento che percepivamo dalle sue parole.
Le abbiamo dato le indicazioni su come procedere, la nostra conoscenza e le nostre competenze per ottenere giustizia!