La signora Manuela aveva 60 anni e due nipoti che l’aspettavano dopo l’intervento per tornare a giocare insieme.
Aveva già avuto a che fare con la sanità, avendo affrontato trent’anni prima un’operazione alla testa durante la quale si erano presentati dei problemi legati all’anestesia.
Problemi che l’avevano condizionata tutta la vita.
Adesso doveva affrontare un nuovo intervento: una protesi all’anca, un evento che i medici le presentavano come estremamente semplice.
Nel percorso post operatorio si era presentata però un’infezione nosocomiale, che nel tempo aveva costretto Manuela a sostenere altri 4 interventi.
Manuela aveva perso tutto: non riusciva più ad essere indipendente, non riusciva più a giocare con i suoi nipoti.
I familiari le dicevano di lasciar perdere, anche se lei si sentiva tradita da quei medici che le avevano promesso una vita migliore.
Quando abbiamo ricevuto la documentazione necessaria, abbiamo fissato subito un appuntamento con la signora per comprendere meglio come erano andate le cose.
Durante l’appuntamento abbiamo capito la sofferenza di Manuela e cosa le aveva portato via l’intervento: la libertà.
Per questo abbiamo deciso insieme di provare ad ottenere giustizia. Per la nonna sessantenne questo sentimento condiviso significava finalmente aver trovato chi voleva occuparsi di lei.
Anche se non mi conoscevano perché ero solo un numero di telefono, loro mi hanno accolta e si sono occupati di me.
Siamo riusciti ad ottenere un risarcimento, ma non è questa la vittoria che cercava Manuela.
Il fatto che la struttura sanitaria abbia riconosciuto le proprie colpe e il danno inflitto alla signora le ha permesso di ripartire, di sentirsi finalmente più leggera.