Ottenere giustizia non guarisce ma aiuta l’anima. Il caso di Agnese.

“Mi sono rivolta a C.o.r.o.c.a. quando mi è stato consigliato di trovare dei medici legali fuori regione, avevo avuto un responso negativo da due studi legali, la perizia del loro medico legale di parte diceva che nel mio caso non si poteva provare un errore medico.

Ho prima provato a chiedere informazione a singoli medici fuori regione ma ho capito quanto invece fosse importante rivolgersi a un gruppo di professionisti esperti e che si occupano di questa tipologia di cause.

Ricordavo di essermi segnata il numero di C.o.r.o.c.a. qualche tempo prima, non li chiamai subito perché mi avevano detto tutti che era una causa che non si poteva fare ma quel giorno stanca dell’ennesimo responso medico che dichiarava il mio peggioramento e una lista di vari interventi da dover di nuovo affrontare, che avrebbero reso la mia vita ancora più invalidante, decisi di chiamare e tentare un’ultima volta.

Per colpa dei miei problemi di salute non ho potuto lavorare per diversi anni e avevo difficoltà economiche non indifferenti, purtroppo non mi era possibile anticipare spese legali, e perizie varie quindi, quando sono venuta a conoscenza di come C.o.r.o.c.a. lavorava si è accesa in me una speranza”.

Agnese è giovane e sta per diventare mamma.

Quello che normalmente avrebbe dovuto essere un momento di gioia, però, si trasforma in un’esperienza devastante che le stravolge la vita.

Viene ricoverata alla quarantesima settimana, quando le contrazioni sono iniziate da molte ore. Alle spalle Agnese ha due aborti precoci e quattro ricoveri recenti al Pronto Soccorso per minaccia di aborto e possibilità di parto prematuro, oltre a un’allergia alla penicillina, celiachia e asma allergica, tutte certificate.

Si affida al personale sanitario che però, dopo un travaglio durato oltre due ore, accorgendosi finalmente che il bambino è posizionato in modo tale da non consentire lo svolgimento del parto naturale, interviene chirurgicamente e pratica un’incisione verticale mediana consentendo la conclusione del parto.

In aggiunta viene usata la ventosa e praticata la Manovra di Kristeller, che consiste nell’esercizio di una pressione sull’addome in corrispondenza dell’utero; manovra peraltro messa al bando dall’Organizzazione Mondiale per la Sanità a causa dell’alta possibilità di provocare danni in zona perineale.

Agnese vive le ore di intenso dolore senza che nessuno la ascolti, uscendo dall’esperienza provata profondamente sia a livello fisico che a livello psicologico.

Ma non finisce qui.

Mentre è ancora ricoverata lamenta la mancanza di controllo di entrambi gli sfinteri, e i medici minimizzano asserendo che un simile disturbo può verificarsi successivamente al parto.

La dimettono a breve raccomandando una semplice riabilitazione perineale e suggerendo al marito di affidare Agnese alle cure di uno psicologo per contrastare l’evidente depressione nella quale sta scivolando.

Nessuno tra il personale medico fa menzione dei danni permanenti che la giovane aveva riportato a causa dell’incisione e dalla manovra praticate durante il parto, ma anzi: prima si dicono estranei ai fatti, poi tentarono di addossare ogni responsabilità ad Agnese, accusandola di non essersi impegnata a sufficienza durante il parto e arrivando ad affermare che anche il bambino non si era impegnato, come se un nascituro potesse assumersi l’onere di quanto accaduto.

Il tempo, però, non risolve nessuno dei problemi lamentati dalla giovane e, dopo essersi vista rimandare di controllo in controllo, senza che nessuno si prendesse la briga di approfondire l’accaduto, le vengono diagnosticati una lesione del nervo pudendo, un disinserimento del pavimento pelvico e incontinenza da entrambi gli sfinteri. 

Il tutto, beninteso, senza la minima informazione su come gestire questo stato di invalidità permanente e senza alcun sussidio che possa metterla nelle condizioni di far fronte a un simile scempio.

Il calvario di Agnese prosegue nella totale indifferenza dei medici fino allo sviluppo di una patologia autoimmune e alla creazione di una stomia permanente che possa almeno in parte contenere i disagi provocati dagli interventi sconsiderati ai quali era stata sottoposta durante il parto.

Oltre sette anni, quindi.

Sette anni durante i quali Agnese ha dovuto subire l’indifferenza di coloro i quali erano i veri colpevoli per le sue condizioni, ritrovandosi infine vittima di menomazioni permanenti che gli stessi avevano cercato di occultare.

Agnese si aggrappa alla propria lucidità e riesce a non sprofondare nella disperazione, dedicandosi alla ricerca di specialisti in grado di fornirle indicazioni su come affrontare il suo stato, oltre al supporto legale per tutelarsi nei confronti di chi, dopo averla rovinata, continuava a negare ogni addebito.

Oggi Agnese ha iniziato un nuovo percorso di crescita interiore e sta ancora lottando per ottenere giustizia. Con determinazione.

E noi con lei.

dal libro Paziente Preparato Paziente salvato

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