Io sono vivo, almeno per ora, Gianni no. È morto nel 2011.
Prima di morire ha detto a sua moglie: “Ti ho messo tutte le cartelle ordinate, tu sai cosa devi fare.”
La storia di Gianni iniziò nel 2006: un mal di pancia e la corsa in pronto soccorso. La diagnosi fu terribile, un carcinoma non infiltrante, che però venne rimosso chirurgicamente.
Dopo l’operazione venne rassicurato. “Lei è guarito e non ha bisogno di chemio”. Con queste parole i medici fecero tacere i dubbi e le preoccupazioni di Gianni e della moglie.
Gianni morì per una recidiva.
Dovevano fare la chemio, le sue condizioni la imponevano.
Durante l’incontro con la controparte il medico legale della struttura sanitaria lo ha confermato mentre il loro avvocato si è attaccato a dei cavilli, cercando di cavarsela con tozzo di pane.
Dopo l’incontro abbiamo parlato con la moglie e le due figlie di Gianni.
Una figlia è operaia, l’altra parrucchiera e lavora due giorni a settimana. La moglie lavora invece in un laboratorio che fa pizze, a chiamata.
Il medico della controparte aveva ammesso che la chemio andava fatta un mese dopo l’operazione.
Gianni e sua moglie erano andati da un oncologo privatamente, pagando la visita 100 euro, per richiedere dei trattamenti chemioterapici. Ormai era troppo tardi.
La moglie ci abbraccia. Siamo riusciti a dimostrare tutta la verità, ottenendo finalmente giustizia.
Resta il fatto che pochi soldi e poche informazioni li hanno resi succubi di un potere assurdo.